Ricerca per Dottorato di Antropologia

Emanuele E. Carloni / Variazioni

20 giugno 2022

Dall’Enciclopedia-Dizionario Monolingua Terrestre-Terrestre: Fatigue, 苦労, ermüdung, fatiga, fatica, fatiga-æ, усталость, fadiga – Stato di un essere che ne provoca una riduzione delle prestazioni e delle funzioni corporee. Può essere “spirituale” o “dell’animo” quando il corpo non è necessariamente affaticato, ma il complesso del suo sistema nervoso si immagina in tale stato al punto da influenzare il resto dell’organismo.


Gli esseri umani, evolutisi repentinamente da preda a dominatori della catena alimentare, hanno involontariamente posto la fatica alla base di gran parte delle attività considerate basilari a tutte le loro comunità: lavoro, procreazione, scalata sociale e perfino il nutrimento (fenomeno riscontrabile nella crescente difficoltà delle preparazioni di cibo nel susseguirsi dei secoli, nonostante la mancata evoluzione dell'apparato digerente degli esseri umani). La centralità della fatica in queste attività è stata ulteriormente messa in luce dai recenti studi di Neo-filologia antropologica sulla circolarità delle assonanze (cfr. Studi Uberlinguistici della Scuola di Saturno) del termine fatica in lingue terresti diverse: è ben nota la cosiddetta proporzione filologica dello sfruttamento capitalistico terrestre, osservato in alcuni paesi del continente europeo:

 

Lavoro (IT, “lavoro”): labor (EN, “lavoro” ma anche “doglie”, ovvero fase di dolore causato dalle contrazioni uterine durante il parto) = travail (FR, “lavoro”): travaglio (IT, insieme di fatiche, ma anche fase finale del parto femminile che comporta dolore e affaticamento nel partoriente).

 

La proporzione, oltre a racchiudere concetti che stanno alla base dell’ideologia capitalista, come la produzione e la riproduzione, che hanno dominato l’esistenza degli uomini sul globo terrestre, mostra come ognuno di questi termini sia legato alla fatica. Nonostante la maggior parte dei terrestri non si renda conto di questa correlazione, il progresso della loro civiltà ha portato a un generale aumento del riconoscimento del valore della fatica, ma spesso sotto svariate definizioni che ne occultano la presenza a livello lessicale: “salario”, “stage” o addirittura lo stravagante termine “plusvalore” coniato dal pensatore tedesco Karl Marx. La fascinazione per la fatica dei terrestri è databile già nell'antichità (cfr. Mito delle dodici fatiche di Ercole) e continua ancora oggi, come attestato dalla circolazione massiva di prodotti industriali di cellulosa lavorata contenenti informazioni biografiche più o meno veritiere di personalità notevoli. Al contempo, stupisce come il concetto di fatica, pur essendo alla base della scala di valori secondo cui gli esseri umani giudicano la loro esistenza, sia espresso in maniera così negativa nel loro linguaggio. Questo è dovuto al fatto che gli esseri umani, dotati di un’esistenza finita, trovano un valore soltanto nel compiersi di un’azione e non nell’atto in sé: espressioni come “fatica sprecata” (presenti in forma diverse nella maggior parte delle lingue terrestri) mostrano il timore umano di aver consumato il proprio tempo vitale per azioni inutili. Il Mito di Sisifo, invece, mette in luce la necessità di un fine nelle proprie fatiche…


Note: Questa apparente contraddizione (riscontrabile in molti altri concetti umani come sentimento-razionalità o dovere-piacere) è stata considerata come insolvibile e inspiegabile dai principali esponenti della cultura terrestre, ma è tuttavia facilmente riconducibile al fatto che il cervello umano divida varie funzioni in due macro-aree ben distinte fra loro. Va infatti precisato che gli esseri umani non sono in grado di unire questi due emisferi cerebrali (a differenza di molte altre civiltà che invece posseggono un unico “cervello” indiviso) e ciò non permette loro di accettare completamente una verità concreta nonostante siano in grado di comprenderla “razionalmente”.


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