Impossibile non credere: magia e politica

David Graeber

23 aprile 2024

Harry Houdini performing his Milk Can Escape act © Library of Congress Rare Book and Special Collections Division Washington, 1908.




I.


La classe politica è disonesta per definizione. Chiunque ne fa parte mente. Tuttavia, chi studia e analizza la politica americana ritiene che negli ultimi anni, in questo ambito, la portata della disonestà abbia fatto una sorta di salto qualitativo. In alcune circoscrizioni di partito, perlomeno, sembra che ci sia stato un tentativo deliberato di cambiare le regole per rendere ammissibile un livello esagerato e palese di menzogne sulle fazioni avversarie – un livello che raramente troviamo in altri paesi. A introdurre questo nuovo stile fu Sarah Palin con la sua “commissione della morte”1, ma in breve tempo la repubblicana Michele Bachmann riuscì a elevare la faccenda fino a vette ben più spettacolari, con dichiarazioni assurde in merito a complotti governativi che miravano a imporre la legge della sharia sugli Stati Uniti, oppure su certi piani segreti per abbandonare il dollaro e rimpiazzarlo con lo yuan cinese. Il senatore Mitt Romney non superò né Palin né Bachmann con la grandiosità e la magnificenza delle sue bugie, ma di fatto cercò di compensare in termini di volume, avendo basato la sua intera campagna presidenziale su una serie infinita di falsità. Molte delle menzogne che vengono fuori dalla parte repubblicana, infatti, sono a tal punto spudorate che è difficile non vederle unicamente come provocazioni intenzionali. È come se i membri del partito repubblicano avessero iniziato a sfidare i media e il partito democratico a chiamarli apertamente bugiardi.


Cosa dobbiamo pensare di tutto questo? Innanzitutto, non può essere una semplice coincidenza che tutte e tre le figure politiche sopra citate siano profondamente religiose. Sarah Palin e Michele Bachmann, infatti, sono evangeliche; Romney, invece, ha ricoperto la carica di vescovo mormone. In questi circoli religiosi, credenze e bugie sono questioni che si rivolgono allo stato interiore individuale. Ecco perché le persone appartenenti agli stessi movimenti religiosi delle suddette personalità politiche non restano affatto turbate quando i media rivelano la falsità delle loro dichiarazioni. Semmai, è più probabile che reagiscano in modo sdegnato nei confronti di qualsiasi giornalista che evidenzi la disonestà del tutto consapevole da cui derivano certe menzogne. I movimenti carismatici ed evangelici adottano una forma di cristianità in cui la fede è praticamente l’unica cosa che conta. Se si parla di persone di fede, cioè di individui che si sono aperti allo spirito santo, allora non può esserci alcun dubbio sulla purezza delle loro intenzioni. E una testata qualsiasi, laica, elitista e di stampo liberale avrebbe anche il coraggio di chiamarli bugiardi?


Quella che la destra repubblicana sta mettendo in scena non è altro che una performance politica, in versione teologica, fondata su uno stile essenzialmente magico: coloro che la rappresentano stanno plasmando un nuovo universo attraverso degli atti deliberati di fede. Il limite è dal fatto che – fintanto che l’altra parte non è abbastanza stupida da ripetere la famosa frase di Bob Dole: «Smettila di dire menzogne su di me!»2 – la magia funziona solo sulle persone che già considerano queste personalità politiche come moralmente superiori.


Ovviamente, per chi è di orientamento liberale tutto questo significa che il partito repubblicano vive in un mondo immaginario inventato dai suoi stessi membri. Le persone che appartengono al primo schieramento, al contrario, si pensano come “una comunità basata sulla realtà”, la gente che con tenacia insiste nel raccogliere fatti e dati e nell’analizzare il mondo per quello che realmente è.


L’origine di questa espressione è di per sé eloquente. Deriva da un articolo pubblicato sul New York Times Magazine da Ron Suskind, un tempo corrispondente del Wall Street Journal. Il pezzo, intitolato Faith, Certainty and the Presidency of George W. Bush [“Fede, certezza e la presidenza di George W. Bush”, N.d.T], è per la maggior parte una rielaborazione delle stesse considerazioni fatte fin qui, ovvero che per chi sosteneva Bush ciò che davvero risultava essere importante era la purezza delle sue convinzioni interiori. Tuttavia, il passaggio che ha reso famoso Suskind è quello in cui riporta una conversazione con un anonimo «consigliere senior di Bush» in cui, dice Suskind, «si arriva al cuore della presidenza Bush»:


L’assistente disse che i tizi come me fanno parte di «quella che noi chiamiamo la comunità basata sulla realtà», che definì come un gruppo di persone che «credono che le soluzioni emergano dallo studio oculato della realtà percepibile». Feci un cenno col capo e mormorai qualcosa riguardo i principi dell’Illuminismo e dell’empirismo. Quello mi interruppe. «Il mondo non funziona più in quel modo», proseguì. «Siamo un impero ora, e quando noi agiamo, noi creiamo la nostra realtà. E mentre voi studiate questa realtà – in modo giudizioso, come fate voi – noi continueremo ad agire, creando altre realtà, e voi potrete studiare pure queste, ecco come andranno le cose. Siamo i fautori della storia… e a voi, a tutti voi, non resterà altro che studiare ciò che noi facciamo».


Per coloro che appartenevano al mondo liberale, questo passaggio confermò tutto ciò che avevano sempre voluto credere. Cominciarono così ad apparire spille e magliette con la scritta “membro orgoglioso della comunità basata sulla realtà”. Divenne una sorta di frase identificativa. Eppure, c’è ragione di credere che persino in questo caso le cose non siano esattamente come sembrano. A partire da quel momento, diversi giornali hanno sottolineato il modo in cui il lavoro di Suskind spesso sembra mescolare un livello qualitativo sospettosamente “troppo alto per essere vero” con citazioni le cui fonti, quando identificate, negano con rabbia di aver detto quanto da lui riportato. Così come nessun altro, di fatto, ha mai affermato di aver sentito un assistente di Bush dire qualcosa di anche solo vagamente simile a quanto pubblicato. È possibile che lo stesso Suskind abbia semplicemente inventato tutta la storia.


E se l’idea stessa di una “comunità basata sulla realtà” non fosse altro che una straordinaria finzione? In effetti, ciò che davvero colpisce dell’attuale dibattito politico americano è che tanto la destra mainstream (leggi: estrema) quanto la sinistra mainstream (leggi: moderata) si sono spinte così in là nella creazione delle loro due realtà che instaurare una conversazione sensata è diventato impossibile. C’è stato un tempo in cui, per esempio, il mondo liberale e quello conservatore potevano discutere delle cause profonde della povertà. Oggi, è la sua stessa esistenza a essere dibattuta. Un tempo discutevano su come sconfiggere il razzismo. Oggi è facile sentire certi individui di stampo conservatore sostenere che i veri razzisti sono quelli che accusano gli altri di razzismo, così come i veri bugiardi sono coloro che li accusano di mentire. Ma a ben vedere, la fazione opposta fa la stessa cosa. Se un conservatore cristiano vuole mettere in discussione il dominio della cultura americana mainstream imposto da una élite liberale di mentalità laica, o ancora, se una sostenitrice del senatore Rand Paul intende dire qualcosa sui legami tra la Federal Reserve e il militarismo americano, entrambi si troveranno di fronte a un simile muro di incredulità.


Appare terribilmente strano per la sinistra mainstream identificarsi con la tradizione dell’empirismo illuminista, quando di fatto le sue personalità più eminenti hanno passato l’ultima generazione a distruggere l’idea stessa di realtà oggettiva. La classe liberale, d’altronde, ha anch’essa una propria “chiesa”, e si tratta dell’università. L’università ha il suo equivalente di teologi e teologhe che interpretano i lavori di Gilles Deleuze, Micheal Foucault e Jacques Derrida con la stessa riverenza che il mondo intellettuale radicale è solito riservare a Karl Marx. E che cosa fanno questi autori se non distruggere l’intero progetto illuminista?


In altre parole, tanto la sinistra democratica mainstream quanto la destra repubblicana hanno ormai da tempo abbracciato la tradizione americana dell’imbroglio, del clamore e della truffa; tuttavia, hanno giustificato questo comportamento in modi diversi. La destra si è affidata a una logica di fede e di convinzione interiore; diversamente, la sinistra un tempo prediligeva una retorica scientifica, mentre oggi preferisce una sorta di anti-scienza post-strutturale – ma in fondo le due giustificazioni si riducono più o meno alla stessa cosa.


Entrambe le posizioni sono adatte alla base sociale dei rispettivi partiti – l’1% che fornisce loro i fondi, gli indirizzi culturali e la mentalità generale. La classe repubblicana costituisce, notoriamente, il partito degli affari. Non è affatto una sorpresa che questa idolatri la confidenza interiore e la determinazione degli amministratori delegati disposti a dire qualsiasi cosa pur di chiudere un affare, e di conseguenza pronti a fare tutto ciò che ritengono necessario per gestire un’azienda. La sponda democratica costituisce invece il partito di quella che, tempo fa, la giornalista Barbara Ehrenreich ha soprannominato la “classe professionale-manageriale” – un partito di insegnanti, manager della sanità, legali e assistenti sociali. Non stupisce molto, in tal senso, che la più alta espressione della loro visione del mondo sia rappresentata dai lavori di Michel Foucault, considerato da almeno vent’anni una divinità dell’accademia statunitense contemporanea – un uomo che ha sostenuto che i discorsi professionali sono forme di potere che costruiscono quelle stesse realtà che intendono amministrare. Oppure che durante gli anni Novanta e Duemila, i decenni in cui l’economia americana andava trasformandosi sempre più esplicitamente in una bolla finanziaria, e in cui il denaro proveniente da Hollywood – e soprattutto da Wall Street – si riversava nel partito democratico, l’adozione di queste idee nei circoli intellettuali divenne sempre più eclatante.


Non sto suggerendo nessuna connessione diretta o semplicistica. Non è che le personalità accademiche di sinistra fossero direttamente influenzate dai fondi di Wall Street. Ma il bello del sistema è che non era affatto necessario che lo fossero. Come qualunque altra persona, anche loro vivevano all’interno di una bolla, e le loro effettive inclinazioni teoriche, stimolate dalla comune percezione quotidiana di un mondo professionale in cui la gestione delle apparenze è tutto, riflettevano le logiche di una bolla economica.


Ricordo bene le conferenze e i seminari a cui partecipai poco prima della crisi finanziaria del 2008: mi trovavo a sentire presentazioni complesse e piene di paroloni di giovani studenti e studentesse di teoria culturale o studi scientifici critici, ma c’erano anche personalità di spicco della teoria politica radicale. Sostenevano che la logica emergente della “prelazione”, della “cartolarizzazione” e della “finanziarizzazione” lasciava presagire non solo la nascita di forme di potere sociale senza precedenti, ma anche una trasformazione della natura stessa della realtà. «Noi di sinistra dobbiamo imparare una o due cose dal neoliberismo», ricordo di avere sentito dire a uno studente fresco di laurea in studi culturali (chi si laurea in questa disciplina spesso si considera la punta di diamante della sinistra globale, anche se non svolge alcuna attività politica), «perché, ad essere sincero, per molti aspetti, loro sono molto più avanti di noi. Voglio dire, questa gente ha trovato il modo di creare valore dal nulla!».


In quell’occasione, ricordo di aver risposto: «Sai, chi lavora a Wall Street ha un termine per identificare questo genere di cose. Le chiamano “truffe”». Tuttavia, dubito che qualcuno mi stesse davvero ascoltando. La maggior parte delle figure accademiche radicali si era rinchiusa all’interno di un linguaggio teorico secondo cui la stessa idea di truffa era quasi priva di significato. Saltando dalla scienza alla anti-scienza, dall’empirismo illuminista al suo opposto, la sinistra accademica si è lasciata andare all’idea che la performance sia davvero l’unica cosa che conta.


Le mode intellettuali passarono dall’emergere della “teoria della performance” stessa verso la fine degli anni Ottanta, all’ascesa negli anni Novanta della Actor-Network Theory (“teoria della rete di attori), che insiste sul fatto che persino gli oggetti della ricerca scientifica sono frutto di processi politici di negoziazione, persuasione e alleanza tra scienziati, istituzioni, oggetti, animali e microbi. Ma il punto della questione è questo: sembra infatti che il mondo intellettuale americano abbia stabilito che ogni cosa non era altro che il frutto di una performance politica, proprio nel periodo in cui l’economia statunitense (e per estensione anche quella del Nord Atlantico) cominciava a basarsi sempre di più sulla produzione di bolle finanziarie – di qualsiasi tipo fossero. La bolla dell’economia speculativa rappresentò una sorta di apoteosi della magia politica.


Ma come ogni illusionista (o personaggio politico di successo) che si rispetti potrà dirvi, la questione non è così semplice. È vero, l’idea che il Presidente sia prima di tutto una persona che sa come agire da presidente è accettata da chiunque di noi; infatti, critichiamo all’infinito chi si candida quando abbiamo la sensazione che non sia in grado di svolgere quel ruolo. Tuttavia, se una candidata dovesse ammettere apertamente che la sua capacità di interpretazione è la sola qualifica che possiede per assumere quella carica, le sue chance di essere eletta sarebbero pari a zero. Nel mondo reale, tutti questi giochini di bipensiero o tripensiero ce li teniamo per noi3. Abbiamo semplicemente trovato giustificazioni diverse per evitare di doverci pensare.


Perlomeno, il consigliere (forse immaginario) di Bush citato da Ron Suskind era consapevole del fatto che la fede da sola non è abbastanza quando si tratta di creare nuove realtà: serve anche la forza militare. La differenza sostanziale tra chi fa spettacoli di magia e chi fa politica è proprio questa: la consapevolezza, se mai divenisse realmente necessario, di potersi appellare alle armi – che sia l’esercito o la polizia. Questo è il suo asso nella manica.


Le realtà politiche sono sempre una combinazione torbida di paura, desiderio e bi o tripensiero. Devi farti diverse domande: ad esempio, se una cittadina qualsiasi pensa che l’ordine politico dato sia giusto, oppure se crede che tutte le altre persone ritengano che lo sia. Se pensa che, per riuscire a realizzare le proprie ambizioni più care, ci siano alternative diverse, possibilmente al di fuori di un mondo che già considerano una truffa; e ancora, se crede che provare a cambiare le cose o addirittura gridare a gran voce che è tutto un imbroglio possa poi arrecarle seri danni. (Come dimostrato da quanto accaduto di recente al movimento Occupy Wall Street, anche quando sono le persone bianche di classe media a scendere in strada per denunciare verità scomode sull’America contemporanea, la repressione violenta resta un’eventualità del tutto plausibile). Infine, devi domandarti se qualunque altra persona intorno a te ritiene che qualsiasi tentativo di cambiare le cose porterà a una repressione violenta – o più semplicemente, se si crede che questo sia ciò che tutte le altre persone pensano possa accadere. Il salone degli specchi è infinito.



II.


In mezzo alle ripetute distorsioni, alle mezze verità opportunistiche e alle assurde ideologie che ora costituiscono il discorso politico, chiunque abbia un minimo di onestà si trova alle prese con la questione dell’auto-inganno e di come questo funzioni in modo simile a un sistema di credenze che si auto-somministrano. Chi studia l’arte della propaganda ha da tempo osservato il modo con cui questo sistema imita quasi perfettamente, sul piano formale, lo stile delle scienze empiriche; tuttavia, il problema relativo al confezionamento ingannevole di certe dichiarazioni non scioglie il dilemma, ben più profondo, che riguarda le persone che scelgono deliberatamente di credere a una forma di propaganda preferita. Nella formulazione convenzionale della questione, ci si chiede in che modo alcune persone riescano a considerare vero qualcosa che a qualunque altro individuo sembra ingannevole. Tuttavia, questa formulazione presuppone che le persone non possano in alcun modo sbagliarsi su ciò in cui credono. È possibile pensare di credere a qualcosa, quando in realtà non ci si crede affatto? Oppure, convincersi di non credere a qualcosa, quando di fatto ci si crede eccome?


Per la verità, c’è un’intera linea di pensiero che cerca di comprendere come questo possa essere possibile. Sembra che il termine feticisimo sia stato coniato dai commercianti europei che lavoravano nell’Africa occidentale per illustrare il modo in cui le controparti africane siglavano gli affari. Parliamo del XVI e del XVII secolo, periodo in cui i paesi europei andavano alla ricerca dell’oro, ben prima di dare avvio alla tratta degli schiavi. Pare che a quel tempo, in diversi porti delle città africane, si potesse inventare nuove divinità in base alle occasioni di scambio; bastava mettere assieme un po’ di perline, qualche piuma e dei pezzi di legno pregiato, oppure, più semplicemente, raccogliere un qualsiasi oggetto un po’ particolare o dall’aspetto evocativo che si poteva trovare lungo la spiaggia, per poi consacrarlo con un giuramento reciproco. Feticci più elaborati, che servivano per proteggere intere comunità, erano rappresentati da sculture, spesso di straordinaria bellezza, in cui le parti contraenti potevano conficcare chiodi, suscitando la rabbia della nuova divinità e garantendo così che fosse dell’umore adatto a punire coloro che trasgredivano. In ogni caso, per un semplice affare con una persona straniera, un ramo dalla forma curiosa sarebbe stato più che sufficiente.


L’atto di giuramento trasformava l’oggetto in una potenza divina capace di portare conseguenze terribili e distruttive a chiunque violasse i suoi nuovi obblighi. Il potere della nuova divinità rifletteva il potere dell’accordo siglato. Ovviamente tutto questo portava molto vicino all’ammettere che l’oggetto era una divinità solo perché gli umani avevano stabilito che lo fosse, ma in ogni caso chiunque avrebbe ribattuto che non era affatto così e che gli oggetti erano effettivamente impregnati di un tremendo potere invisibile. Così, casomai a una delle parti contraenti fosse capitata una catastrofe inaspettata – cosa affatto rara, dato che le spedizioni europee naufragavano continuamente nei mari in tempesta o morivano di malaria –, si sarebbe sempre potuto dire che, se i malcapitati di turno non avessero in qualche modo infranto la parola data, non gli sarebbe successo nulla.


Ma allora, le controparti africane credevano davvero al potere dei loro feticci? A quanto pare, ai tempi era opinione diffusa che ci credessero realmente, benché spesso si comportassero come se i feticci non fossero altro che meri espedienti commerciali. Tuttavia, il mondo delle cianfrusaglie magiche è pieno di questi paradossi. Sappiamo per certo che gli europei, abituati a pensare in termini teologici, proprio non riuscivano a capacitarsi di questa pratica. Di conseguenza, essi tendevano a proiettare il proprio smarrimento sul popolo africano. Ben presto, l’esistenza dei feticci fu impiegata come prova della profonda confusione che le persone africane avevano in merito alle questioni spirituali; i filosofi europei iniziarono a sostenere che il feticismo rappresentava la più bassa forma di religione possibile, e che le persone che lo praticavano, non possedendo alcuna teologia sistematica, erano disposte a venerare qualsiasi cosa.


Naturalmente, non trascorse molto tempo prima che certi pensatori europei come Karl Marx e Sigmund Freud iniziassero a chiedersi: ma siamo davvero così diversi? Come ha osservato Marx, la storia occidentale è la storia di tutte le cose che l’occidente stesso ha creato, cose a cui ci si è prostrati in ginocchio e che sono state venerate al pari di divinità. Nel Medioevo lo abbiamo fatto con le ostie, i calici e le reliquie. Ora lo facciamo con il denaro e con i beni di consumo. Di qui, la famosa tesi di Marx sul feticismo delle merci. Produciamo continuamente oggetti a nostro uso e consumo, o anche per convenienza, e poi ne parliamo come se fossero impregnati di un qualche strano potere sovrannaturale che li rende capaci di agire autonomamente – e la ragione principale è che, da un punto di vista esclusivamente pratico, la cosa potrebbe anche essere vera.


Quando un investitore in materie prime legge il Wall Street Journal e viene a sapere che l’oro si comporta in un modo, che l’olio o la pancetta di maiale si comportano in quest’altro modo, o che il denaro sta fuggendo da questo mercato per migrare da qualche altra parte, crede davvero in quello che legge? Di certo, lui non pensa di farlo. Non avrebbe alcun senso prendere da parte l’investitore per spiegargli che l’oro e l’olio sono in realtà oggetti inanimati e che non possono fare nulla. La sua risposta sarebbe piena d’irritazione: ovviamente è solo un modo di dire. Per che cosa mi avete preso, per una specie di idiota? Tuttavia, nella realtà pratica delle cose, egli ci crede davvero, perché ogni giorno frequenta le piazze di scambio e agisce come se fosse vero.



Note:


1 La “commissione della morte” è un’espressione coniata dall’ex-governatrice dell’Alaska Sarah Palin nel 2009, durante il dibattito sulla legislazione federale in materia di assistenza sanitaria e sulle coperture offerte ai soggetti non assicurati. Secondo Palin, la proposta di legge avrebbe portato alla creazione di una perfida commissione di burocrati cui sarebbe stata affidata la facoltà di decidere chi curare e chi no. Nella realtà dei fatti, la legislazione non prevedeva nulla di simile, N.d.T.


2 Il riferimento è alla campagna presidenziale del 1988, quando alle primarie del New Hampshire George H. W. Bush sconfisse Bob Dole. Quella stessa sera, in un confronto televisivo, Dole apparve molto seccato e sbottò contro Bush a proposito di una campagna pubblicitaria in cui quest’ultimo aveva accusato il rivale di non avere una posizione chiara sulle tasse, N.d.T.


3 Il riferimento è al romanzo 1984 di George Orwell. Il termine in neolingua “bipensiero” indica il meccanismo mentale che permette di ritenere vera una qualsiasi idea insieme al suo opposto, a seconda delle circostanze e degli indirizzi politici del partito – il Grande Fratello –, dimenticando istantaneamente tanto il cambio di opinione quanto l’atto stesso del dimenticare, N.d.T.



*Traduzione di Graeber D., 2012 Can't Stop Believing: Magic and Politics, The Baffler, n. 21, a cura di Alice Gattari. L'articolo appare su Alea B2: David Graeber, numero speciale della rivista pubblicato a luglio 2023.


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