Immaginari conatur

Pasquale Menditto / Preludio IV

30 settembre 2022

I. Madrid, 1819-1823



Sconfitto Napoleone, i vincitori di Waterloo si diedero da fare per riportare le cose alla normalità in tutta Europa. In Spagna, la dinastia dei Borbone riottenne il potere e con l’appoggio della chiesa spagnola decise di consolidare la propria posizione di dominio eliminando le timide riforme liberali che avevano caratterizzato il decennio napoleonico, restaurando un solido e stantio conservatorismo.


Goya ha 75 anni, è un liberale e si ritrova verso la fine della propria vita ad affrontare gli stessi affilati ostacoli che avevano logorato i desideri della sua giovinezza.


Isolato, forse depresso, comincia a dipingere una serie di quadri successivamente noti come le Pitture nere. Le quattordici opere serviranno a decorare le pareti della sua nuova casa a Madrid.


II. p.279, 2009


PROPOSIZIONE XX


Chi immagina che sia distrutto ciò che egli odia, si allieterà.


DIMOSTRAZIONE


La Mente (per la Prop. 13 di questa parte) si sforza d’immaginare ciò che esclude l’esistenza delle cose da cui la potenza d’agire del Corpo è diminuita od ostacolata: cioè (…) si sforza di immaginare [immaginari conatur] ciò che esclude l’esistenza delle cose che essa ha in odio […]. Chi, dunque, immagina che sia distrutto ciò che odia si allieterà.


III. Caserta, 2018



È Raffaele a propormi di andare a trovare Vittorio nella pasticceria che ha aperto con i soldi tirati su facendo il militare. Non è chiaro se abbia lasciato l’esercito di sua volontà o se sia stato congedato per non essere riuscito a guadagnarsi il grado di caporale dopo il primo anno di ferma, sta di fatto che da un anno ha convinto i suoi genitori a rimettersi a lavorare con lui, investendo i soldi della loro pensione nel suo progetto.


La pasticceria si trova in una zona periferica della città, una di quelle in cui mancano pure i bar e nessuno passeggia per strada perché ci sono solo caseggiati e condomini a sottrarsi luce ed aria a vicenda. Quando entriamo nel locale, Vittorio è intento a servire un cliente per cui non si accorge subito della nostra presenza. Mi sembra piuttosto stanco e appesantito rispetto all’immagine di lui da soldato che conservo tra i miei ricordi.


Gli affari vanno bene, la partenza non è stata facile, ma di mese in mese sta costruendo una clientela stabile composta perlopiù da gente del quartiere, e poi lavorare in proprio è meglio che stare a prendere ordini dentro l’esercito. Ora tocca a me raccontare, così gli dico che sono un antropologo e per dargli un’idea di quello che faccio, gli parlo della ricerca etnografica che ho appena concluso tra accampamenti informali di migranti tra le strade di Parigi.


(Mentre parlavo vidi la sua faccia indurirsi in un’espressione contrariata, quasi schifata, così tagliai corto e per qualche istante ci fu silenzio).


Vittorio mi chiede sarcasticamente che cosa ho scoperto con la mia ricerca. Provo a rispondere seriamente ignorando il suo tono provocatorio.


Mi interrompe dopo poco infastidito. È deluso da me, io sono un altro di quelli interessati a fare i soldi con l’immigrazione, quando l’unica cosa sensata da fare è ributtare i migranti in mare. Sotto l’esercito lo avevano mandato in Sicilia a presidiare i centri di accoglienza e i porti durante le operazioni di sbarco. La vista di quella gente gli faceva schifo, per lui erano come animali. Era in Sicilia quando quel “rifugiato” aveva ammazzato una coppia di anziani nei pressi di Catania per derubarli. Quelli come me non parlano mai di queste storie ma soltanto di quanto la nostra società sia cattiva nei loro confronti. La verità è che siamo troppo generosi, invece bisognerebbe affondare le navi come aveva detto Renzi anche se quello non ha le palle per fare una cosa del genere. Caserta è piena di stranieri, di merde come li chiama Vittorio. Ai semafori, sulle panchine dei parchi, nella zona della stazione… in certe aree ha smesso di andare per evitare di incontrarli. È pronto a votare per chiunque abbia il coraggio di sbarazzarsi di loro.


Litighiamo.


Quando cambiamo argomento è palese ad entrambi che quello che ci siamo detti continua ad aleggiare intorno a noi. Raffaele cerca di mediare tirando fuori i ricordi del liceo e qualche aggiornamento sui vecchi compagni di classe.


Non serve a niente.


Poco dopo ce ne andiamo.


IV. Voorsburg, 1663


Nei pressi dell’Aja, Spinoza sta cercando di portare a termine la stesura dell’Etica, che fino a quel momento ha interrotto più volte per dedicarsi al Trattato sulla riforma dell’intelletto (mai ultimato) e ai Principi della filosofia di Cartesio. In quel villaggio sta cercando un riparo dagli incontri sfortunati che si sono susseguiti da quando il collegio rabbinico l’ha scomunicato nel 1656 per le sue posizioni filosofiche e teologiche. Per i rabbini di Amsterdam Dio non può esistere soltanto come principio immanente, sostanza dagli attributi infiniti che però ne condivide addirittura due con gli esseri umani: pensiero e estensione. Non c’è eminenza nella filosofia di Spinoza, nessun attributo è gerarchicamente superiore agli altri e gli esseri viventi sicuramente non ne incarnano una versione degradata rispetto a quelli di Dio.


Dopo la scomunica, Amsterdam era diventata invivibile per Spinoza: un fanatico ebreo aveva persino cercato di assassinarlo con un pugnale, ma per fortuna il filosofo era riuscito a scamparla. Colerus, il primo biografo di Spinoza, racconta che questi aveva poi conservato per il resto della sua vita il mantello forato dai colpi di pugnali andati a vuoto «per ricordarsi meglio che il pensiero non era mai stato amato dagli uomini» (Deleuze).


V. Parigi, 2017


Siamo nell’interstizio di cemento posto tra la struttura portante della periferica e il percorso d’asfalto che questa sostiene. Da quando la prefettura di Parigi ha disposto che i richiedenti asilo non possono sostare o dormire nell’area adiacente al Centro Umanitario di Paris-nord, i migranti si sono visti costretti a trovarsi dei rifugi celati agli occhi dei passanti e delle ronde della CRS francese. Il mezzanino o creneaux come lo chiamano i volontari di Utopia è uno di quelli. Qualche materasso logoro, sacchi a pelo e coperte stracciate, buste di plastica e contenitori con gli avanzi del cibo delle distribuzioni serali sono tutto ciò che decora quello spazio. Mohammed, un ragazzo somalo di 27 anni, mi ha spiegato che il principale problema sono l’aria e il rumore delle vetture che sfrecciano sopra la nostra testa. Mi sono bastati cinque minuti in quell’accampamento per capire a che cosa si riferisse. Vivere lì significa respirare un’aria appestata dai gas di scarico, un miscuglio gassoso che ti piomba immediatamente sul petto, lasciandoti col fiato corto. Il rumore invece è assordante. Le vibrazioni del passaggio delle auto filtrano attraverso il cemento, scuotono le ossa, non lasciano dormire. C’è da diventare matti e ora Mohammed cominciava a capire perché tra di loro ce ne fossero alcuni ormai completamente persi, fuori dal mondo, vuoti.


Interrompe il suo racconto per segnalarmi con un cenno della testa la presenza di qualcuno alle mie spalle.

Un uomo sta risalendo il fianco del pilone verso l’interstizio. È una figura sottile, fragile e instabile sulle gambe. Arrivato a meno di un metro da me imita teatralmente il gesto di prendere una boccata di fumo per chiedermi una sigaretta. Gliela porgo e poi gli faccio spazio sul materasso affinché possa sedersi. Ha la mano coperta da una fasciatura sporca di sangue raggrumato, così gli chiedo che cosa gli sia successo, ma lui si limita a dirmi che la Francia è una merda.


Poi si rivolge a Mohammed affinché gli faccia da traduttore. Ha perso metà di un dito. Da mesi vive a Parigi, facendo avanti e indietro tra la capitale e Calais in cerca di un’occasione. Dormiva per strada in un posto simile a quello in cui ci troviamo. Una notte si è svegliato perché qualcosa gli ha morso la mano, forse un topo. È stato male, febbre, freddo (si chiude a guscio simulando dei brividi). Poi un giorno è svenuto e quando si è risvegliato era in ospedale. Non riusciva più a muovere la mano destra. Nessuno parlava con lui, non riusciva a dormire, si lamentava, così lo hanno sedato. Quando si è svegliato gli mancava mezzo dito. Hanno detto che era infetto, ma lui era arrabbiato, ha fatto il matto, urlando, strappandosi le bende. A quel punto lo hanno cacciato.


Mi porge la mano ferita, magari voglio vedere quello che gli hanno fatto. Provo a fermarlo, ma non serve a niente. Si srotola la benda rivelando il moncherino dell’indice, la cui estremità annerita è attorniata da gocce di pus giallognolo.


Gli fa schifo la sua vita.


La sigaretta è finita. Schiaccia il filtro contro l’asfalto e poi si alza barcollando.


Quando è ormai lontano, Mohammed mi confessa che ha paura di diventare come lui.



VI. Aja, 1665


Spinoza ha interrotto ancora una volta la lavorazione dell’Etica per dedicarsi al Trattato teologico-politico. Per lui si tratta di un’urgenza personale, quasi stesse cercando di rispondere a distanza di nove anni ai motivi dietro la sua scomunica analizzando perché un popolo dovrebbe lasciarsi guidare da idee inadeguate, vantarsi della propria schiavitù e rinunciare alla pratica della libertà. Cinque anni dopo pubblica anonimamente il testo.


Ma cosa sta succedendo in Olanda?


Nel 1653 Jean de Witt è stato eletto Gran pensionario d’Olanda, la carica più alta di una repubblica che esiste unicamente come concessione della casata d’Orange, non ancora interessata a prendere il potere per imporre la monarchia. De Witt è un liberale, che predica la tolleranza religiosa, un’organizzazione istituzionale basata su assemblee provinciali e una politica estera pacifica. Il partito monarchico invece parla di ortodossia calvinista, intransigenza verso i gruppi sociali diversi, una politica commerciale e militare aggressiva ed espansionista.


Il Trattato di Spinoza rilegge questo conflitto. Spinoza introduce il concetto di “stato civile” per descrivere una condizione collettiva in cui la composizione del popolo si basa su un ordine estrinseco, imposto attraverso la proliferazione di sentimenti passivi come il timore della dissoluzione e la speranza di sopravvivenza. Nello “stato civile” la legge distribuisce il bene e il male naturalizzandoli, mentre stabilisce un sistema di punizioni e ricompense per assicurarsi l’obbedienza delle potenze individuali.


Non c’è spazio per la pratica della libertà nello stato civile. Solo un processo di liberazione tramite l’esercizio della ragione può portare l’intelletto individuale a farsi legislatore dei modi attraverso cui esplicare la potenza vitale a cui è associato, agendo di conseguenza sulle altre potenze che popolano il mondo.


Nel 1672 Spinoza ha terminato l’Etica, ma i fratelli de Witt sono stati assassinati, gli Orange hanno preso il potere e ormai non è possibile pubblicare un libro del genere in un clima illiberale e violento.


VII. pag. 266, 2009


PROPOSIZIONE XIII


Quando la Mente immagina ciò che diminuisce od ostacola la potenza di agire del Corpo, si sforza, per quanto può, di ricordarsi di cose che escludono l’esistenza di ciò che immagina.


DIMOSTRAZIONE


[…] la potenza della Mente e del Corpo è diminuita od ostacolata fino a quando la Mente non immagini un’altra cosa che esclude l’esistenza della prima, e perciò la Mente […] si sforzerà per quanto può di immaginare o di ricordare.


SCOLIO


[…] l’odio non è altro che Tristezza accompagnata da una causa esterna. […] colui che odia si sforza di allontanare o distruggere la cosa che ha in odio.


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