Pagina di diario

Pierluigi Bizzini / Preludio IV

22 settembre 2022


Il legno del cancello è invaso dalle formiche. Sarà stata la pioggia. Migliaia e migliaia di minuscole formiche dalla testa rossa si incolonnano senza sosta sui tasselli gonfi e umidicci. Marciano nel loro mondo privo di gravità e dimensioni – da una a due, da due a tre, una rivolta, si è a testa in giù e poi di nuovo a tre, di nuovo a due, di nuovo a una. Si arrampicano tra loro, corrono sorde e cieche e mute, invase da ordini che non immagino, e alcune addirittura si fermano e alzano quella goccia di ruggine che hanno per testa, forse intuiscono per un istante che un essere gigantesco li sta osservando, ma non bisogna fermarsi, il gigante è buono, il gigante è inutile, il gigante non esiste davvero, bisogna riprendere la marcia, disciplinata e furiosa. Avvicino l’orecchio a pochi centimetri da loro – potrebbero aggrapparsi sul mio lobo e in fila indiana entrarmi dentro – ma non mi è possibile cogliere alcun suono e mi chiedo come faccia una folla del genere a non emettere un gemito, un grido, una risata, un lamento, una bestemmia, uno sbadiglio, una protesta.


Una formica esplora il mio avambraccio. Questa piccola riottosa si è separata dal gruppo e chissà cosa vuole fare di me, cosa vuole fare di sé. Mi solletica la pelle, la afferro tra due dita, la appallottolo e la getto via.


Ai piedi del cancello, tra piccole conche di sabbia scavate dall'acqua del giorno prima e larghe come il palmo di una mano, riposano degli sterminii di formiche. Da lontano parrebbero un mucchietto di gelsi neri troppo maturi caduti dal proprio albero. Ma mi inginocchio e mi ritrovo a constatare che ai piedi del cancello della mia casa si è formata una vera e propria fossa comune. Stanno talmente stipate tra loro da non riconoscere più i singoli corpicini e la vedo, sì che la vedo, la forma che assume una fine collettiva, ovvero quella di una maglia sfibrata e senza peso, il fermo immagine di un girotondo, i muscoli tirati, le bocche spalancate, gli occhi semichiusi, grovigli di braccia e mani, una fine sconfinata all'ingresso della mia casa.


Apro il lucchetto, spingo il cancello. Più avanti l'albero di fico è carico di frutti.



*L'immagine di copertina è di Ibrahim Albrdawil, 2021.


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